Il Castello di Grottole


Le prime notizie sul Castello di Grottole risalgono al 1154, quando Al-Idrisi, geografo arabo, su incarico del re scrive un volume intitolato “Sollazzo per chi si diletta a girare il mondo”, dove descrive i paesi della Basilicata con riferimenti anche al nostro.
In questo libro la costruzione dei castelli di Grottole e Altogianni risale al 604 d.C., per opera dei Longobardi di Benevento. Nel volume Una pagina di storia patria di Tommaso Andreucci, la costruzione dello stabile si fa risalire all’ 851 d.C. per volere del principe di Salerno, Siconolfo.
Il Castello di Grottole sorge su una collinetta distaccata dal resto del paese, in un luogo anticamente chiamato “Contrada della Motta”.
La struttura originaria era formata da 13 vani soprani, da 6 vani sottani, da una stalla e da una cantina.
All’interno del Castello, di notevole prestigio è il grande
camino sito, nella stanza precedente quella che immette alla torre, sovrastato da una grande conchiglia in stucco che custodisce al suo interno uno stemma, forse quello dei Sanseverino di Bisignano.
Rilevanti sono anche gli affreschi delle volte e delle pareti delle stanza adiacenti la torre, ormai poco visibili perché ricoperti da strati d?intonaco.
A piano terra, sotto un grande arco sorretto da una colonna, c?era un forno a legna, oggi diroccato, utilizzato per la cottura del pane ed abbeveratoio-lavabo in pietra.
Le carceri invece, erano situate all’ inizio di “salita Castello”, sul lato destro, poi utilizzate come abitazioni.
Il castello subì una consistente successione feudale e fu posseduto nel tempo da varie ed illustre famiglie del Regno di Napoli, tra cui:
Gianvilla;
Del Balzo;
Orsini;
Pisciscelli-Zurlo;
Gaetano Dell’Aquila D’Aragona;
Sanchez De Luna D’Aragona;
Spinelli di San Giorgio;
Caracciolo di Melissano;
Sanseverino di Bisignano.
Non sono state riscontrate notizie precise circa la datazione degli ampliamenti strutturali apportate all?immobile nel corso dei secoli. Tra i feudatari che si adoperarono per abbellire il Castello ci fu Carlo II Spinelli di San Giorgio. Altri cambiamenti furono apportati sicuramente dall’ultima famiglia feudale che lo detenne.
Si dice, inoltre, che Pietrantonio Sanseverino, principe di Chiaromonte e signore di Grottole, intorno al 1750, adattò a teatrino una grande sala al primo piano, dove si esibirono le più famose compagnie di girovaghi.
Il castello narra un’antica leggenda.
Guardando il colossale torrione, e precisamente la finestra spalancata verso il paese, nelle notti di luna e nei mesi di primavera ed a giugno, è facile vedervi stagliata la bionda figura di Abufina, la più bella e la più sfortunata ragazza mai vissuta a Grottole: ella vi parlerà del suo amore.
Un giorno Abufina, bellissima dama, ricamava seduta accanto alla finestra del torrione. Possedeva una candida pelle come latte e pensava al suo amore, Selepino, che combatteva in terra lontana. All’improvviso, mentre era intenta ai lavori domestici, avvertì lo scalpitio di un cavallo: era un messaggero che portava un plico che così recitava: “Vieni, Abufina, vieni da me; io che uccido i nemici, me l’amore mi uccide; vieni, Abufina, vieni da me: insieme con te al castello di Grottole sol tornerò; fà presto, fà presto…”.
E Abufina partì, ma il bianco cavallo, distratto dalle pietre luccicanti e scivolose del fiume Basento, s’impennò, e la bella fanciulla fu travolta nei vortici del fiume.
La leggenda narra che il signore del castello, per onorare la memoria della fanciulla morta per andare incontro al suo amore, vi collocò una lapide (di cui era possibile vedere fino agli inizi del secolo XIX dei frammenti) con una scritta: “Ad Abufina la bella, che corse, cui fu dolce morire d’amore; questa torre che fu tua dimora, parli sempre alle genti di te. Ogni amante ti porga un saluto, e si stringa al suo cuore l’amata…”.
Ancora oggi il Basento, pentitosi per aver distratto il cavallo bianco, pare che mormori ogni tanto il nome di Abufina.